“Tiepolo esorbita da ogni cornice della pittura settecentesca e diventa del tutto opaco se interpretato all’interno di uno sviluppo storico. Era solo una tardiva propaggine di Veronese? Era solo un grande virtuoso, pronto a celebrare trionfi secolari ed ecclesiastici, pagani e cristiani, mitologici e dinastici? Era fedele alle intenzioni dei committenti, alle quali si contentava di aggiungere una qualche dose di estro? Se intesa su questa falsariga, l’intera opera di Tiepolo si appiattisce come un castello di carte urtato da una mano impaziente. Mentre chiunque frequenti a lungo la sua pittura non riesce a sbarazzarsi del sospetto che Tiepolo non usasse i suoi trionfi in funzione dei singoli personaggi rappresentati, ma usasse quei personaggi in funzione del trionfo stesso. Il quale, a sua volta, potrebbe anche non essere altro che un nome occidentale e ostentatorio di quella che, in un diverso continente, fu chiamata māyā: non solo «illusione» e «apparenza», ma anche «magia misuratrice», tessuto di cui è fatto il mondo, secondo il significato che la parola ha nei testi vedici, prima che nella versione vedantica”
Roberto Calasso, Il rosa Tiepolo, (pp. 38-39).
Ver: Recensão: Marc Fumaroli , “Tiepolo l’ultimo antico”, 24 ottobre 2006